Giampiero Iezzi

Chiedo

Chiedo al vizio di
ispirarmi al meglio vivere
per non dare scopo alla tua mancanza
di salute di vincere sulla vita mia.
Orsù, Dio! Tu vuoi la vita
di Giampiero.
L’anima, con il corpo tuo dono è privo di salute, ma
non si priva dello scopo anche se comunque vada
al fine con la morte
paga e cessa, per contratto d’uso,
di rompere con il suo destino.

Nella realtà  la vita mia
non era enigma alla fantasia
con il lavoro “betonellaro”… ti appagavo.
I sentimenti belli li apprezzavi,
anche brutti e  apprensivi.

Ora, lasci errante in cerca di un corpo usato
la mia anima malandata,
artista burattino insostenibile e introversa,
un po’ poeta,
che ti  paga al mese, quando va.

giugno 2011

Blu

Vita!
Sei un contenitore
spessante
disabile
indelebile
stressante
di emozioni dal carattere flebile
di aneliti aspetti.

La morte certa per contratto celeste,
alfine certezza sei per l’anima…
blu alla dipartita del corpo
dopo la levata della vita.

Io declamo nero per attirare
nell’opaco baratro la morte….
La bara è il suo destino:
La mia morte… già è:
un comodato d’uso con Dio.

giugno 2011

Per la carne

Troppi sono
di riflesso nell’anima
i dolori
sopportati
dalla mente.
Pena… nel cuore!
prendi a pazienza
questa sofferenza.
Io sto al gioco del vento,
prendo del sorriso
il consumo dalla scatola
dei quieti ricordi
tutta la notte,
per portare al
giorno fatto
un po’ di pace nel corpo
fin che verrà il tempo
con speranza per
qual ché di allegria.

giugno 2011

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Sono arrivato a 54 anni con gli ultimi 13 anni frastornato nel mio io da una malattia tutta strana con Parkinson di nome e vivo nel terrore di piangere per mostrare al mondo le mie stranezze del vivere le emozioni, ancor di più quelle forti che prendono allo stomaco, creandomi uno stato di ipercinesia con rigidità e tremore.
Io non sono mai stato fervente nel pregare qualcuno conosciuto solo perche’ transustanziato… e il riconoscere per vera una realtà veritiera ai miei occhi… di una persona, o meglio una cara persona che mi ha conquistato con il suo grande cuore.


“Giampiero perfetta marionetta, grande attore di se stesso, troppo stupido, scemante, che ha offerto tutta la sua vita a rappresentazione di un destino degno di essere raccontato a spicchi, poco per volta, alla sua maniera, dettando a se stesso e poi scrivendo come un bravo autore che esprime,
o meglio edita, ritagli di poesia senza pretese di insegnar il mestiere del poetare.
Però, al buio di un libro chiuso, si consuma il destino di frasi che protestano per le troppe parole mal utilizzate per la certezza di un significato.
Il libro è di antica fattura e i versi in scrittura generati sono solo dei geroglifici gerontizzati dalle rivoluzioni di troppi eventi a impressionare parole di nuovi significati.
Io, un po’ restìo di sapere, cucino come posso poesie per i lettori, scomponendo, molando, riaccoppiando, sgrammaticando, forgiando, frugando parole di senso compiuto, innovativo nel mio esporre artigianale nel mentre il tempo trascina tutto con sé verso il futuro”.
(Giampiero Iezzi)

Umano vissuto

In fondo sono nato,
cresciuto, vissuto,
in parte per dire, per fare,
forse anche per lasciare qualcosa,
malgrado tutto, di umano,
che ancora alla ricerca vado invano.

Fragranti emozioni

Caldi mi racconti, oh vita,
dell’amore che attraverso la nebbia avvolge,
confuta e sparisce a pariglie
in microonde labili,
calde, infrangibili e fragranti emozioni,
che al cuore tocca di desideroso affetto,
perché mai stretto di abbracci.
Anche se con sorriso interiore ora ben sopporto,
perché conscio sono della mia depressione,
é acqua liquida
che svenato in un fiume tormentato trova pace
nella sua foce per arrivare infine al mare.

Dall’Istituto C. Besta di Milano (inviata tramite cellulare)

Dal 12 gennaio Giampiero Iezzi è ricoverato presso l’Istituto Besta di Milano, per affrontare i test preliminari che, se tutto proseguirà per il meglio, saranno la premessa dell’intervento chirurgico che gli permetterà di ridurre i danni del parkinson di cui è affetto.

“Quale peccato abbiamo fatto per essere marginati dalla ruggine in una stanza triste di allodola speranza? Tutti sofferenti, attenti all’attesa del nuovo, ammaliati condizionati d’intenso.
Siamo una tinteggiata vittoria annunciata “color Nicola”*.
Di fatto c’é luce! Da quei muri ospedali da tempo. Oro sprigiona bandiera gialla dalla stanza numero tre, scrostata d’intonaco di fradicio murato dal troppo pianto.

É difficile rispondere senza lavare parole con lacrime a chi provvede con grazia e amore a lenire il mio dolore.
Lei non lo sa che i suoi occhi belli, sono ghirlande, iridi catturati dalla retina nello spazio di una bella giornata illuminata dal calore della luce sempre solare e mai al grigio nebbia di luna.
Lei, provata, tace il triste, con due parole molate di gioia, con  un volto di sospiro sorriso Giampiero conforta “Come va?”
E rido io, piango.
Lei non avverte che la mia gioia esplode nel godere della sua presenza e amore senza anestesia provo nell’ascoltare sue parole di attenzione e conforto interiore”.

*Nicola è il compagno di stanza di Giampiero, un ragazzo di 27 anni colpito da encefalite quando aveva pochi mesi. Tra poche ore sarà operato per ridurre i movimenti incontrollati dovuti al suo stato. Questo genere di interventi è stato introdotto anche per le persone spastiche proprio grazie ai malati di Parkinson, sui quali sono stati sperimentati con esito positivo in passato.

Sopravvivenza

La vita purtroppo spera e prosegue,
l’occhio liscio pigro per inerzia vigila
e segue lo sguardo che aldilà defila dalla finestra,
si allontana dai colori di vetro
e al cinema “Cielo” nitido filma immagini
con paesaggi belli e brutti,
che invita la mente a meditare
se è meglio mediare per un domani ciò che si ha.
Nulla di nuovo!
Al domani si sopravvive.
Meglio così.

Cronache dal dolore – Dall’Istituto C. Besta di Milano (inviato tramite cellulare)


13 gennaio 2011

h. 14,57
Tale al mare scarso di acqua é un ristagno di idee, illusioni di nobili pensieri, sabbie mobili di desideri.
Con questa malattia alleno le idee, che il tempo mi passa, alla mia realtà.
Di un albero é un ramo da frutto tranciato, rigoglioso di foglie, pieno di linfa, piantato in asso dal vivere e, come una sirena, sopravvive in acqua acetata di parole.
Tutto tace, è una sequela in silenzio di attimi dal sapore irreale.
Momenti in cui si cerca di riposare la mente per poi più serenamente librarsi e accogliere previsti esiti per un fare futuro.
Si vive alla mercé del lapidario tempo, che attrae il sogno e conta le ore al passaggio continuo dei se, dei ma, dei chissà.
Rilasciate i ritmi della speranza: essa é prisma di lati positivi alla realtà.

h.16,29
E anche lui, come gli altri tra i tanti, si allontana dal corpo per non mostrare in pubblico il suo dolore.
Scappa, foglia si inventa e vola via con una folata di vento la ragione, che convulsa di tremore, folle é… da troppa pazzia.

Miracoloso calvario

In questo prato d’ospedale convivono
ansia e amore fra i malati pazienti,
I fioretti dei parenti che aspettano trepidi
L’esito del calvario con un miracolo.
Il tuo, Signore,
per gioire ognuno con il proprio caro.
Cospicuo, denso di colori,
loro interessano te con i petali dei fioretti
e ancor di più.
È il profumo di preghiere a te dedicate
che avvolge quel prato di interior significato.
Tutti diversi, tutti graditi, tutti belli.
Uno d’intenso, per te,
é quella chioma di fluenti capelli di donna
per sempre recisi dalla mente,
per amore di madre.

Cronache dal dolore – Dall’Istituto C. Besta di Milano (inviato tramite cellulare)

14 gennaio 2011

h. 8,08 Bollettino medico. Notte alta di tumulti con draghi asserragliati nel Maniero, strenuamente difendono regina Dopamina dalle malelingue di fuoco buttando sabbia silicea sulla sarabanda dell’assassino, che tremolando avanza con i suoi guerrieri del dolore.
Si combatte a muso duro…La battaglia  continua, alla luce del nuovo giorno.

h. 14,39 Sono al verde e insistono al rosso su di me, con le medicine sintonizzano il volume al soft per il pubblico pagante nel degustare emozioni dal teatrino del Dottor Iezzi&Mr Parkinson.
Sepolti nel sonno, gli attori incensurati riscattano la vita.
Rubano a etti la salute e, randagi come zecche e muti, seguono mimi i camici dei dottori per offrirsi ai malati a termine per stimolare con la vita l’agonia tanto disprezzata in un interno di ospedale.

h. 19,55 Orco, o Unno, SS é lui, il famigerato parkinson in risonanza magnetica, ideatore del dolore rampante. Si confonde e diffonde il suo verbo, vero arbitrio a cui sottostare.
É una torpedine, da provare per imparare, che ravviva a sé l’interesse molteplice unico indesiderabile.
Nel suo genere di agire tormenta l’impossibile. Nel deserto delle attenzioni dell’uomo ha divorato tutto, succhiato disumano, tale da sentirsi estraneo di se stesso.
Fortuna mia, é il sapere dell’esistere e rari sono i diamanti d’eccezione…

Malavoglia

Di malavoglia arde nella cenere
la fiammella della speranza.
Siamo sempre lì in attesa
sotto la campana nella chiesa del Signore,
che non suona mai a raccolta
per indire una tomba e/o un miracolo fortunato.
Asfissiante é una festa
per noi neuro maledetti
a divorare anestetico per un po’ di pace…
Inaccettabile la vita sotto la campana,
manca l’aria, l’ambiente é troppo disabile…per  me.

Conto alla rovescia

Lo spazio vita è la conta alla rovescia
del fare futuro che verrà.
Oggi sarà sempre ieri
per un domani.
Più che stufo sono di ufofuturo desiderio,
certezza in un sicuro futuro.
Una storia basta già di vero,
chiedo al tempo necessariamente
di poterlo vivere intensamente
serenamente con le cose belle
che si conosce di necessità,
anche di prima,
senza altro esperenziare.

Fermento di nuovi ideali

Nel pianto liquido senza ripensamenti
a realtà degli ultimi venti anni.
Nella bacheca della tristezza di mostro
appendo tutte le manifestazioni di stupidità
per ricevuta sensibilità alla mia disabilità.
Pollo io per fame
becco le altrui malefatte
che avvitate cadono su di me come pere marce,
idee forzate dei desideri seri.
Mi asilo di fantasia e fermento nuovi ideali
con la mia Dama di compagnia.

Cronache dal dolore – Dall’Istituto C. Besta di Milano (inviato tramite cellulare)

16 gennaio 2011

h. 6,47
Nel silenzio di un’alba stropiccia gli occhi la mattina.
Poi con un trillo del cellulare dal pollaio
invita il cedrone gallo alla possente sveglia del chicchirichì.
É un muoversi di un ripetersi di ciò che è necessario
per amarsi e volersi bene.
Basta mimare lo spirito e il significato del presepe di Natale,
Stefano, Adele ed altri come loro ricchi di oro interiore.

h. 10,05
Ti leggo e, se ci ripenso, non ti temo, anche se é normalità tra di noi bisticciare.
Tra le chiacchiere imponi me tua perla e dal cielo, per avermi, rendi mendicante e vendi tutti i suoi averi. Ho dovuto lasciare il certo per l’incerto e, come un angelo negro, sono comprato al mercato dell’est, da te Signore. Ma che cosa vuoi fare di me?

Mantecate emozioni

Brutto è vedere coloro che
mi soffrono addosso la loro disabilità.
Essi sono poveri deficienti
nella marea umana privi di cranio
e la con-scienza li punisce.
E quando finirà?
Ci vorrebbe solo un modo più dolce
per dire basta!
Troppa sofferenza gratuita
ha mantecato emozioni
come un evaporare al sudar della pelle.
Vieni morte, stufo di soffrire,
per le ferie vorrei riposare.

Di un figlio, di un padre

Quando meno te lo aspetti
riempi con l’amore il cuore di chi si ama.
Digerisce le asprezze,
i litigi, i disprezzi che portano alla gogna,
quella rogna che marcisce il buono dell’anima.
E d’improvviso nell’aria piange
e si lava la tristezza di entrambi gli occhi
che legano gli sguardi con visi tinti di arcobaleno…
Di un figlio e di un padre
irrimediabilmente tesi, tersi nell’essere tali.

Evoluzioni

La vita è consegnata,
un’imposizione con la libertà di viverla
nel rispetto delle altre forme di vita terrestre.
Il tempo gira e il ritmo delle evoluzioni
determina i cambiamenti naturali per ridurre gli eccessi,
in genere, da ricondurre alla normalità.

Cronache dal dolore – Dall’Istituto C. Besta di Milano (inviato tramite cellulare)

17 gennaio 2011

h. 10,24 Prima padre mio, con quella nostra preghiera lei sfoggia con il consorte rettore la stola di ermellino nel fare la messa al “scambiatevi un gesto di pace” con chicchessia.
Nessuno però baratta la propria pace, anche se pur misera con lei, che sfila in chiesa per pavonata moda.
Padre mio, che vale andare a scocciare Dio quando di notte,
questa notte che notte da guaiti su guai non riesco a scaldare il letto con il sonno perso a fare il scendiletto.
Alfine cedo per riposare ed é subito giorno, con gli infermieri granatieri che impongono adunata ai poco pazienti addolorati da malattia invisibile, incurabile.

h. 13,56 La morte é come un vestito che prende forma e cucito addosso al corpo dopo la vita, dona signorilità e della pace eterna.
Cola a gocce la notte, cola dal mattino al giorno, cola stagnante alla rupe della sera.
E’ vero, sono vivo ma cosa significa stare bene?
Per le scale, seduto su un gradino con i piedi sbilenco s-zoccolo.
E se cado? A nessuno frega più di tanto, anzi uno in meno da temere o da pregare.
Dai, alla grande, non te l’aspettavi, c’é la banda degli amici, antichi parenti e serpenti di lavoro, che ti hanno depredato peggio di una puttana e per essere sicuri, pure accompagnano al tuo ultimo funerale.

Ovattati rumori

La sera si azzittiscono i rumori.
Cerco l’acerbo riposo tra le pieghe del lenzuolo
sporco di dolore.
Il cuscino cuffia il ritmo del tremore
ed io negro di rabbia gioco con lui
il mio tempo per frugare idea
da lampi di luce improvvisa.
Nulla é sopito e la storia, sospettosa,
prosegue il mio cammino.

Soffice farfalla

La sofferenza
nel presente di un attimo
é una soffice farfalla
mossa da un soffio di vento.
Sei tu, mia la sofferenza
che nel cuore dilaga, senza ritegno, la notte.
Sui miei sogni affondi con aliti di respiro.
Il tuo amore piomba sul mio petto,
lacero contuso di affetto per te.
In segreto carpisci un giorno al tempo
per stare a me vicino,
oh, Dama di compagnia.

Cronache dal dolore – Dall’Istituto C. Besta di Milano (inviato tramite cellulare)

18 gennaio
Pane e aria pura per un tozzo di libertà.
Paziente tranquillo accetto da tempo il dolore per riavere la libertà di vivere la vita. Non questa, misera di sofferenza passiva indorata dal ricordo, imposta e consegnata al male.
Pane aria e sale, la voglia di essere liberi per capire quale valore impostare per consumare una vita.
Ho capito e compreso il bene e… torno felice nel mondo della sofferenza per combattere il mio male.
Poi, nel bene il male degli altri.

19 gennaio
Dovrebbe essere per il corpo nel momento fisiologico, un riposo con il dormire nel sonno, la fabbrica dei sogni presi da spunti delle meraviglie quotidiane.
Qui, dove sono io di prezioso c’é poco da cavare se si é sempre a setacciar tristezza al vaglio della sofferenza.
Io desidero riposare le mie menbra stanche caro Dio ma, rifiuto il tuo eterno riposare.
Muri di nubi dispingono tratti di cielo. Senza ispirazioni i quadri sono cornici misere con scolorine assorbite su tela e senza arte messe da parte dietro la luna di colore grigio spennellato dagli angeli del giotto esasperati dalla terrestre disperazione. Talento dove sei, opportunità serve per emozione.
Incominci a viverla la vita, ahimé!
Quando s’intrufola nella mente il tarlo che qualcosa manca e in un attimo accorgi del ciò che fai, tutto é nulla.
Vien meno il reagire e accettare serenamente il dunque sperando che il da farsi avvenga subito e sperando in una grazia… che nel sonno sia indolore.
Ti arido in faccia Mr. Parkinson.

20 gennaio
Non lo capisco ma, se con le dita polpastrello a fatica sul mio abbeccedario sms scrivendo delle frasi secche a te amore vita mia…
Va’ che vivo per te, perché sopporti con me il dolore in triste sofferenza per una reiterata ingiallita speranza di realtà, sempre sotto flebo di fantasia e neuro medicine nel sogno di farmaci deliranti cure miracolose debellanti l’impossibile.
É un accettare una premorte, un subvivere farmaceutico di produzione emozioni cari ricordi struggenti nel tempo per chi resta e ascolta la vita.

Come ti senti, Giampiero? Lo sai Signore e, giusto pare strano il tuo coltello ficcato nella carne per te, essa é già “s’offerente” per quel miracolo promesso.
Penso che tu non sia il solito deserto senza miraggi e privo di solchi di lacrime di pianto.
Qui io mi fermo qui, aspetto il tuo arrivo.

Non distinguo le belle giornate il suo consumarsi lento o forse veloce dalla mattina alla sera passa inosservato e sorpreso come sono a vivere prigioniero in un corpo inutile.
Sai, n.n., tu come fai per vivere il mio tempo?
Facile, aspetto che crepi, sicuro trovi qualcuno pagato per farti ammazzare.
Prima che il sangue esangui e delira la mente nel cervello non scorrono più le parole karaoke per fare una frase di senso compiuto.
Non c’é più dopamina al mercato nero.
Tutto é fermo, n.n., sono tuo, pensaci tu a vivere il mio tempo.

Affreschi d’emozioni

Tutto là?
No, per come la cerco
cerbiatto con lei
sempre di continuo in tutti i modi.
Pensieri sogni desideri
accavallano la mente mia di quadri suoi
tesi estesi in mostra appesi da ammirare.
Sono affreschi di lei disegnati di contorno
con affetto ed emozione,
colorati e interior sfumati
con i giochi sutra dell’amore.

Il dono rifiutato

Sono un dono,
perché attore che recita
ed eccita con la sua parte
il pubblico pagante teatrando per oro
in tutte le repliche la bugia della compagnia di Dio.
La mia parte é quella del donatore, però,
nella realtà il mio dono nessuno lo vuole.
É in affitto gratuito
con diritto di usucapione di pensione Inps.
É la mia incurante malattia.

Malgrado tutto

Scolpisci duro sul mio esile corpo
che nato marmoreo da tempo é duttile
sformato al dilanio martellante scalpellinare
senza tregua del dolore sul pianto
sirio forgiato alle rocciose acque ricche di minerali.
Sempre ad aggregare con colla appiccicosa, marca vita,
spezzi grandi e piccoli degradati
e da me riappiccicati al corpo
per troppo amore alla vita.
Non sono parole prammatiche addolcite di nostalgia
ma mia algia feroce di non mollare, malgrado tutto.

Ansimante respiro

Perduto io,
graffiato è il respiro ansimante
tra la gente che svende e nulla provvede,
per cercato aiuto, cerchiati come sono
nella quadrante logica dell’indifferenza.
Non da solo con tante belle parole
spasso e spennello le mie giornate
alla noia della solitudine.
Poco, cheta barlumi di compagnia alla testa
con un cranio traboccante di arcignato dolore
avaro nel dare e accimato tempestoso
di avere avido possesso della Dama di compagnia
per la pace da carpire su un prato finito
d’interior fiorito.

Spastica sofferenza

Ma che vita è la mia
sperando che arrivi un po’ di carità,
che porta altra sofferenza
spastica al dolore.
Mio!

3 Responses to Giampiero Iezzi

  1. Gianni Maccario says:

    Ti sono vicino molto, molto vicino Iezzi!

  2. silvia says:

    Versi emozionanti in una spiccatissima sensibilità che tocca il cuore e porta a profonde riflessioni sulle quali , spesso, il senso di vita fa porre incredibili domande…
    Un augurio speciale per un percorso migliore ,ove la serenità possa insinuarsi stabilmente

  3. Raggioluminoso says:

    Un grande respiro di vita, per chi ha conosciuto la vita in profondità.
    Un abbraccio dal profondo del cuore con tutto l’affetto di cui sono capace
    Flox

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